La fine della Signoria dei Trinci
La Signoria dei Trinci su Foligno ebbe termine, dopo 134 anni, l'8 settembre 1439, con la cattura di Corrado III de' Trinci da parte del Cardinale Giovanni Maria Vitelleschi, legato del Papa. Corrado fu senza alcun dubbio il principale responsabile della rovinosa caduta della propria famiglia. Le innumerevoli atrocità e nefandezze, commesse a partire dal 1421 quando vendicò la morte dei fratelli con un bagno di sangue, rimasero per sempre legate al suo nome - "Corrado di infame memoria", si legge negli scritti di alcuni storici - e lo condussero a una fine tanto prevedibile quanto inevitabile. Va comunque dato credito a Corrado di aver posseduto una certa scaltrezza, rivelatasi in una consumata abilità nel tessere e coltivare amicizie e parentele di convenienza; diversamente, non avrebbe mantenuto il potere per ben diciotto anni. La sua fine, per certi versi tardiva, è legata alle vicende di tre altri personaggi di spicco dell'epoca: il Papa, Eugenio IV, l'Abate di Montecassino e Rettore di Spoleto, Pirro Tomacelli, e il legato del Papa, il Cardinale Giovanni Maria Vitelleschi.
Brevi note biografiche
Eugenio IV
A seguito della morte di Martino V, il 20 febbraio 1431, il Conclave votò il veneziano Gabriele Condulmer, eletto il 3 marzo e poi incoronato in San Pietro l'11 marzo 1431 con il nome di Eugenio IV.
Il nuovo Papa si trovò a dover affrontare subito due gravi problemi: lo strapotere a Roma della famiglia Colonna, conquistato grazie al suo predecessore, e il Concilio di Basilea, con cui fu in contrasto per quasi tutto il suo pontificato.
Eugenio riuscì in un primo momento a scacciare i Colonna da Roma, ma non potè impedire il loro ritorno, favorito da intrighi e tradimenti, neanche tre anni dopo. Nel giugno 1434 dovette fuggire, travestito da frate, e rifugiarsi a Firenze, presso la famiglia dei Medici. Nonostante la rivolta dei Colonna, sfociata nell'effimera "Repubblica Romana", fosse stata soffocata nel sangue da Giovanni Vitelleschi nell'ottobre dello stesso anno, l'esilio di Papa Eugenio durò fino al 1443.
Le trattative del Concilio, per l'unione con le chiese orientali di ogni luogo e rito, furono lunghe ed estenuanti. Quando il Papa, nel 1439, ritenendo che l'unione tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa fosse possibile, scelse Ferrara come sede (acconsentendo alle preferenze dei greci), i padri conciliari di Basilea lo scomunicarono come eretico, e gli opposero Amedeo VIII di Savoia, eletto Papa col nome di Felice V. Spostato il Concilio a Firenze, a causa di un'epidemia di peste, Eugenio raggiunse il suo scopo, unificando le Chiese (inclusa la Chiesa Armena), che non tennero in nessun conto l'elezione di Felice V.
Per il suo rientro in sicurezza a Roma mancava un ultimo tassello: egli si era schierato, per la successione al Regno di Napoli, dalla parte degli Angioini, contro gli Aragonesi; quando però Renato d'Angiò, accerchiato da Alfonso d'Aragona, abbandonò Napoli, egli non poté fare altro che prendere atto della situazione. Il Papa e il nuovo Re stipularono un trattato in cui riconoscevano le rispettive legittime posizioni, e si impegnavano ad essere alleati. Eugenio IV rientrò trionfalmente in Roma il 6 settembre 1443, dopo un esilio durato quasi dieci anni.
Senza risultati fu un suo tentativo per una crociata contro i Turchi, che erano avanzati in Ungheria e in Slavonia; solo l'Ungheria e la Polonia risposero al suo appello, e l'impresa fallì con la sfortunata battaglia di Varna (10 novembre 1444).
In tutto ciò, egli dovette occuparsi, con alterni successi, e anche una certa ambiguità, anche delle vicende dell'Umbria, come vedremo più avanti.
Eugenio IV morì in Roma nel 1447.
Pirro Tomacelli
Pirro di Roberto "il Tartaro" Tomacelli, Abate di Montecassino, il 28 febbraio 1434 venne nominato "Rettore della città e provincia del Ducato di Spoleto" e "Castellano della Rocca di Spoleto" da Eugenio IV, che si dichiarò convinto di averla così affidata in buone e sicure mani. Questa doppia nomina fu dovuta alle insistenze degli Spoletini. Il 2 ottobre 1434, a ulteriore manifestazione di compiacimento e di fiducia per la sua "prudenza, rettitudine e devozione alla Chiesa", gli conferiva la "facoltà di nominare Rettori ed ufficiali in sua vece nelle diverse terre e luoghi del Ducato con relativi salari, oneri, onori etc."
Sembra che Pirro Tomacelli non si sia recato subito a Spoleto, o comunque non vi abbia dimorato stabilmente; alcuni documenti del 1435 e 1436 lo danno infatti a Montecassino.
Ma subito dopo le cose mutarono, e volsero al peggio. Gettata la maschera, il Tomacelli si comportò più da padrone che da Rettore e, in aperto contrasto con l'abito talare, si abbandonò a ogni tipo di vizio e di libidine. E ne derivò una serie di sciagurati eventi, nella quale questo Pirro Tomacelli campeggiava come bieca figura di uomo ambizioso e violento, avido senza scrupoli di potere e di ricchezze, amorale ed immorale. Tommaso Martani, suo contemporaneo, si sfoga su di lui con ogni più violenta accusa, denunciandolo, non solo perfido e criminale, ma persino turpemente incestuoso con una sua sorella, convivente in Spoleto; il Minervio sprezzantemente lo definiva del tutto negato a qualsiasi virtù (Vir ab omni virtute alienus).
Divenne rapidamente odiato e disprezzato in città, ma fuori delle mura di Spoleto, egli aveva una corposa fazione ghibellina a sostenerlo. Alla morte della Regina Giovanna II di Napoli, che aveva lasciato come erede Renato d'Angiò, l'Abate prese a parteggiare per Alfonso d'Aragona, in opposizione al Papa, suscitando così le ire degli Spoletini.
Preparandosi a ogni evenienza, Pirro insediò dei soldati nella Rocca dell'Albornoz e la rifornì di vettovaglie, spogliando sia i campagnoli dei loro prodotti - grano, vino, orzo, mosto, paglia - che i cittadini delle merci che venivano introdotte dentro le mura di Spoleto.
Egli contava sul difficile periodo che stava vivendo Papa Eugenio: il 29 maggio 1434 era scoppiata in Roma la rivoluzione, che l'aveva obbligato a fuggire a Firenze, dove si trattenne un intero decennio.
La ribellione di Pirro divenne aperta nel settembre 1437, quando egli inalberö le sue insegne familiari sulla Rocca di Spoleto, cui dal 23 di quel mese gli Spoletini avevano posto l'assedio. Non ubbidendo quindi all'ordine del papa di rilasciare la Rocca, gli venne mandato contro, quale commissario, Amorotto Condulmer, conte di Massa e parente di Eugenio IV. Pirro ne approfittò per richiedere alla Camera Apostolica competenze arretrate che non gli erano state riconosciute, ritoccando la somma a proprio vantaggio.
Convintosi di aver fatto una cattiva scelta, il 10 dicembre 1437 il Papa gli ordinò di riconsegnare la Rocca e di lasciare il Rettorato. Ma il Tomacelli, anzichè rassegnarsi, sobillato da Corrado Trinci, si dichiarò addirittura ribelle alla Chiesa.
L'inserimento del "magnifico Signore di Fuligno" nella disputa tra il Papa e l'Abate ribelle, dette inizio a un lungo e incerto periodo, fatto di assedi e battaglie, di saccheggi, stupri e rapimenti, che si concluse con la rovinosa caduta tanto del Tomacelli che di Corrado Trinci.
Giovanni Maria Vitelleschi
"Cardinale Condottiero", "Patriarca Alessandrino", "Cardinal Fiorentino": sono alcuni degli appellativi con cui è passato alla storia Giovanni Vitelleschi, nato tra il 1390 e il 1400 a Corneto, nei pressi di Viterbo, discendente degli stessi Vitelleschi che furono scacciati da Foligno da Trincia Trinci.
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