Trincia Trinci: differenze tra le versioni
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| | | Ugolino II de' Trinci | ||
| Corrado II de' Trinci | | Corrado II de' Trinci | ||
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== Biografia e Note Storiche == | == Biografia e Note Storiche == | ||
Trincia, figlio di Ugolino II Trinci detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “''sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali''”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse. | === Ascesa al potere === | ||
Trincia, figlio di [[Ugolino II Trinci]] detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “''sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali''”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse. | |||
[[File:FraMoriale.jpg|180px|left]] | |||
Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.<br> | Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.<br> | ||
Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di [[Corrado I]] | Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di [[Corrado I Trinci]] come Podestà di Siena). Questo fatto ebbe ripercussioni molto gravi: da tale famiglia, infatti, nacque il Cardinale Giovanni, che nel 1439 pose fine alla Signoria dei Trinci.<br> | ||
=== Il Cardinal Legato Egidio Albornoz === | |||
[[File:EgidioAlbornoz.jpg|180px|right]] | |||
Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio. <br> | Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio. <br> | ||
A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "''Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica''" nella città e nel territorio di Foligno con il “''mero et mixto imperio''”, per la durata di dieci anni. | A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "''Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica''" nella città e nel territorio di Foligno con il “''mero et mixto imperio''”, per la durata di dieci anni.<br> | ||
Nel 1366 il comune di Spoleto, temendo l’avvicinarsi della Compagnia della Stella del Baumgarten, inviò ambascerie a Trincia per ottenerne l’aiuto. Albornoz in persona si recò poi a Foligno per cercare di reclutare Giovanni Acuto e utilizzarlo contro Perugia. Egidio Albornoz fornì il suo parere positivo sulla richiesta di Trincia di essere infeudato del castello di Bevagna per un censo annuo di 500 fiorini, mentre il castello non ne rendeva più di 400 alle casse pontificie. Nella seconda parte di questo anno, a conferma dell’importanza di Trincia, il Rettore del ducato di Spoleto, inviò ben otto ambascerie al signore di Foligno. Albornoz, quando risiedeva a Foligno, si sentiva completamente sostenuto da Trincia Trinci, uno di quelli che erano accorsi al suo fianco sin dalla prima ora. Foligno era doppiamente utile, specie nel momento in cui Perugia era addirittura nemica. A complemento degli statuti base della Signoria furono aggiunte le “''Costituzioni Egidiane''”. <br> | |||
=== I Trinci Vicari Pontifici === | |||
A conferma della fedeltà di Trincia Trinci e della sua importanza strategica in Umbria, il Pontefice Urbano V, anche dopo la morte del protettore di Trincia, Egidio Albornoz, non mancò di manifestargli il suo favore e il 29 novembre 1367 concesse al Trinci il titolo di suo Vicario per Foligno per dieci anni; il censo era di 1.500 fiorini annui, da pagarsi in due rate. Il titolo veniva riconosciuto come ereditario e poteva essere trasmesso, in caso di morte di Trincia, a suo fratello Corrado, associato già al potere, e quindi a suo figlio Ugolino.<br> | |||
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Era l'ambito riconoscimento della Signoria Trinci che, e fu questa una prova della riconosciuta scaltrezza della famiglia, si differiva da tutte le altre perché seppe aumentare la propria potenza solo attraverso concessioni pontificie e non mai con atti violenti o in aperto contrasto con la sede Apostolica. Vi fu in ciò anche un aspetto negativo giacché i Trinci non poterono più liberarsi da una così troppo formale soggezione alla Chiesa e quando lo tentarono fu la loro fine. Altri riconoscimenti papali seguirono nel tempo: Urbano V nel 1370 riconobbe al Trincia il diritto di giudicare le cause civili e penali dei cittadini di Foligno e distretto, senza più ingerenze del Rettore del Ducato di Spoleto. Proibì inoltre al Rettore del Ducato di Spoleto di interferire con tale diritto. La deliberazione venne presa per discordie e scandali, a noi ignoti, che tale inframettenza aveva provocato in passato. La curia del Ducato conservava la sua autorità nelle cause d’appello.<br> | |||
Nel 1371, confermando la fiducia del suo predecessore nella lealtà e capacità di Trincia dei Trinci, Signore di Foligno, Gregorio XI, il 7 giugno, prorogò per altri sei anni la durata del vicariato apostolico, portandola a un totale di sedici anni; qualche giorno prima aveva assolto Trincia e i suoi consanguinei Ugolino Novello, padre di Trincia, il vescovo Paolo e Corrado di Nallo, zii di Trincia, l’avo Nallo e Ugolino, nonché suo fratello Corrado, da qualsiasi illegalità da essi operata e ciò in riconoscimento dell’inossidabile lealtà di questa dinastia alla causa della Chiesa. Quando Trincia usò la forza, nel 1371, per occupare Bevagna, Gregorio XI accettò lo stato di fatto nominandolo Vicario apostolico anche per Bevagna e, il 30 dicembre, lo creò generale di Santa Chiesa e Gonfaloniere generale del Ducato di Spoleto. Constata Giovanni Lazzaroni: "''Il dominio dei Trinci giungeva così al massimo della potenza''". Trincia si era comportato con estrema prudenza nel corso della guerra tra Chiesa e Perugia, egli aveva ospitato nella sua città e nel suo palazzo i legati pontifici, ma si era astenuto dal combattere la forte Perugia. La lealtà dei Trinci alla causa guelfa venne testimoniata l’anno successivo, il 21 giugno, quando Firenze concesse la sua cittadinanza a Trincia e Corrado. <br> | |||
Nel 1371 il Cardinal Pietro Bituricense dette il possesso di Bevagna a Trincia Trinci, Signore di Foligno. A questi consegnò personalmente il bastone del comando, col quale lo investiva del governo di Foligno e Bevagna, in nome della Chiesa. <br> | |||
1374. Il prestigio del Signore di Foligno, Trincia Trinci, era in costante aumento. La sua politica di totale fedeltà alla Chiesa stava ripagando la sua dinastia: il Legato Pietro d’Estaing gli aveva dato il possesso di Bevagna nominandolo Generale di Santa Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto. Il 19 dicembre 1374, quando Trincia ebbe delle difficoltà a pagare il censo alla Chiesa, il papa gli dimostrò la sua benigna disposizione d’animo prorogandogli, senza problemi, il pagamento.<br> | |||
=== La guerra degli Otto Santi === | |||
La "Guerra degli Otto Santi" fu un conflitto che oppose la Santa Sede e Firenze collegata ad altre città nel 1375-78. Prende nome dalla denominazione che i cittadini di Firenze, in seguito all’interdetto lanciato contro la città da Gregorio XI nel 1376, diedero alla Magistratura degli Otto della Guerra, istituita dal Comune per dirigere la lotta. Dinnanzi al tentativo di restaurazione di un forte Stato della Chiesa in vista del ritorno della Santa Sede da Avignone a Roma, i Fiorentini si rivoltarono, alleandosi con Bernabò Visconti e le città suddite della Chiesa (eccetto Ascoli e Foligno). La guerra, in cui le bande mercenarie pontificie commisero ogni sorta di violenze, si esaurì dopo il ritorno del papa a Roma (1377) e cessò (1378) per le difficoltà sorte da ambo le parti; Urbano VI, sul quale pesava la minaccia di secessione dei cardinali francesi, tolse l’interdetto a Firenze in cambio dell’impegno di quest’ultima a versare 350 mila fiorini.<br> | |||
[[File:PapaGregorio11.jpg|180px|right]] | |||
Nell’archivio di Stato di Firenze sono conservate alcune lettere, datate 1375, che i Dieci di Balia inviarono al signore di Foligno per convincerlo ad unirsi ai “''collegati della libertà''”. I Dieci lo esortavano a entrare a far parte della Lega. Non disponiamo della risposta di Trincia, che supponiamo articolata evasivamente, però troviamo il signore di Foligno ancora leale nei confronti della Chiesa, malgrado i Fiorentini insistano e minaccino.<br> | |||
Nel 1376, mentre la ribellione alla Chiesa dilagava quasi ovunque nell’Italia Centrale, in Foligno i fratelli Trinci, Trincia e Corrado, resistevano imperterriti alle lusinghe e alle minacce che rivolgeva loro Firenze. Questa, capofila della ribellione, indirizzava lettere piene di lusinghe e nelle quali tratteggiava i vantaggi dell’adesione alla generale Lega contro la Chiesa; poi, di fronte al rifiuto continuato di Trincia Trinci, il tono trascorse verso il sorpreso e quasi scandalizzato per la “rovinosa ostinazione” del Signore di Foligno. Infine lo ammonivano: "''rischi di rimanere isolato in Italia ed esposto a sicura rovina''". Trincia mantennne la sua lealtà verso la Chiesa, questa era stata la politica del suo lignaggio nei decenni passati e questa lealtà aveva fruttato il favore dei papi; non vedeva nessun motivo per cambiare tale politica. Oltre a Foligno, Trincia Trinci era anche Conservatore e Governatore di Montefalco. Firenze, vistasi incapace di persuadere Trincia, pregò Galeotto Manfredi di esercitare pressioni sul signore di Foligno. Il Papa compensò tanta rara lealtà condonandogli il censo per Foligno e Bevagna e lodandolo.<br> | |||
Nel 1377, Corrado Trinci, fratello del Signore di Foligno, avuto sentore di un trattato per dare Bevagna alla Lega, vi si recò con "''un buon numero di cavalli e di fanti''"; la corse al nome dei Trinci, affrontò i traditori che avevano preso le armi e, dopo una dura battaglia, rimase vittorioso. Rastrellò la città alla caccia di tutti i partigiani della Lega, assassinandone molti, e infine concesse alle sue truppe di saccheggiare la sventurata Bevagna. Tale e tanta fu la rovina che la città, per un poco, rimane deserta. | |||
Nel frattempo erano giunti a Foligno trecento cavalieri Bretoni, al soldo del Papa, presenza scomoda anche per gli alleati, tanto che messer Trinci, non fidandosi di loro, li inviò a soggiornare nella devastata Bevagna. Il 29 giugno il Cardinale Pietro d’Estaing lasciò Todi, trasferendosi a Montefalco. Riteneva questa località più adatta a portare attacchi contro Perugia, per la vicinanza con Foligno e quindi con le truppe del Trinci. Le sue pattuglie non incontrarono soldati perugini e poterono arrivare indisturbate fino a Ponte San Giovanni, predando e deportando gli abitanti del contado. Fu poco più di un’azione dimostrativa, ma cadde nel periodo in cui le messi erano quasi mature, e quindi le devastazioni furono molto più dolorose. I Perugini, intimoriti, provvidero ancor più diligentemente alla difesa. Firenze inviò un capitano con cento lance, e poi altre centocinquanta, comandate da un fratello del conte Lucio Lando. Perugia poteva contare su cinquecentocinquanta lance per proteggere il territorio; non solo: i Perugini poterono anche permettersi di uscire in campo aperto e scacciare il nemico fuori dei confini. Visto l’orizzonte sgombro di nemici, i Perugini corsero il Folignate, assaltarono Serra del Visconte, un castello della Val Topina, risalirono la valle, conquistarono Rodione e Gualdo Tadino. Coldimancio si dette a Perugia, e i soldati scacciarono da Bevagna il presidio Bretone. Da bravi vicini, tra Spoleto e Foligno non correva buon sangue, per contese di confine, ma vi era da pensare a mietere il raccolto, e le parti conclusero un accordo secondo il quale ogni città potesse dedicarsi a questa attività senza temere incursioni dall’altra. Ma i Folignati non tennero fede alla propria parola, uscirono "''con gran impeto dalla città''", assalirono i mietitori, uccidendone alcuni e catturandone duecento. Spello era sotto la protezione di Perugia, che immediatamente inviò il Tedesco messer Pietro dalla Corona, a punire i traditori. Il ben provveduto cavaliere inviò alcuni dei suoi ad assaltare una torre tenuta da una guarnigione di Foligno. I Folignati, convinti di poter facilmente legnare l’esiguo contingente perugino, uscirono dalle sicure mura della città, ma messer Pietro era soldato esperto: aveva disposto il grosso dei suoi militi in luogo nascosto, e quindi in buon ordine assalì i Folignati da tutte le parti, sgominandoli. <br> | |||
=== La profezia di Fra' Tommasuccio === | |||
Viveva in Umbria un frate, originario di Foligno, che godeva di una solida reputazione, quella di essere in grado di profetizzare gli eventi. Alcuni dei suoi successi sono raccontati dal Pellini, che li trasse dalla "''Historie Fiorentine del Beato Antonino''". Fra’ Tomassuccio ebbe il torto di biasimare pubblicamente le scellerataggini di Trincia dei Trinci, signore di Foligno. Questi, che era un uomo risoluto, decise di punirlo esemplarmente e ferocemente, facendolo ardere vivo. Convocò quindi a sé il frate, che conosciuto in spirito ciò che il tiranno gli riservava, andò a un forno vicino e chiese alla fornaia di mettergli nella camicia che egli aveva apprestato a conca, tra le mani, alcuni carboni ardenti, e dei più grossi e vivi perché doveva percorrere una qualche distanza. Li ottenne e con le braci ben rivolte nella camicia, si presentò di fronte al crudo signore, svolse il tessuto e ne trasse carboni ancora ardenti dalla camicia illesa, gettandoli ai piedi del Trinci, ed esclamando: "''Se tu mi vuoi abbruciare, eccoti il fuoco''". Trincia, stupefatto, desiste dal suo proposito e, da quel momento, dimostrò di avere la più alta considerazione per il religioso. Cercò quindi di penetrare attraverso l’indovino il proprio futuro e gli chiese quanto sarebbe vissuto. Fra’ Tomassuccio rispose: "''Tu viverai appunto tanto quanto durerà illesa la campana della comunità di Folign''". La tragica profezia si avverò il 28 settembre del 1377, quando Corradino e Napoleone Brancaleone, insieme a molti nobili folignati fuorusciti, approfittando del passaggio d’alcune genti fiorentine nel territorio, e precisamente del conte Lucio di Landau, decisero di attentare alla vita del Signore di Foligno. Il momento per l’azione venne stabilito essere quando la campana del comune avesse suonato alcuni rintocchi, allora i congiurati si sarebbero reciitati dal tiranno e lo avrebbero gettato dalla finestra. Mentre Trincia veniva defenestrato dal suo palazzo, suonarono i rintocchi della campana, che si fessurò. <br> | |||
Fra’ Tomassuccio era un terziario francescano "''di grande astinentia, dispregiatore singularissimo delle cose del mondo''". Dopo la sua morte venne sepolto nella chiesa di Sant’Agostino e le sue spoglie, operando miracoli, gli ottennero la beatificazione. | |||
=== L'assassinio di Trincia === | |||
Il 28 settembre, Napoleone e Corradino Brancaleoni, esponenti di una famiglia tradizionalmente avversa ai Trinci, compirono un colpo di stato in Foligno. Approfittando della presenza della compagnia del conte Lucio di Landau nella zona e dell’assenza dei congiunti di Trincia Trinci, Corradino, un bastardo della famiglia Brancaleoni, sollevò la popolazione di Foligno e la condusse contro il palazzo Trinci. La resistenza venne facilmente vinta, gli armati sciamarono fino alla sala del Signore e il bastardo lo gettò dalla finestra del palazzo. Il cadavere, crivellato di ferite, giacque per più giorni sul selciato della piazza, senza che nessuno ardisse rimuoverlo. Messer Trincia aveva tragicamente concluso la signoria della sua famiglia che era durata, il Pellini puntigliosamente precisa, 72 anni, 3 mesi e 8 giorni. Ugolino, il figlio di Trincia, era in un castello del territorio, e qui venne imprigionato; Corrado, fratello di Trincia, era ad Anagni presso il Pontefice, e qui venne raggiunto dalla tragica novità. I Perugini decisero subito di tentar di sfruttare la favorevole occasione, incaricarono oratori di recarsi da Napoleone e Corradino che si erano insignoriti di Foligno, offrendo tutti gli aiuti militari necessari al nuovo regime per rintuzzare la prevedibile reazione dell’esercito della Chiesa. Napoleone e Corradino chiarirono che non volevano entrare nella Lega, ma offrirono una tregua d’armi di un anno. Il 20 ottobre la tregua venne conclusa.<br> | |||
Il 6 dicembre i partigiani della famiglia Trinci sollevarono la popolazione e la condussero contro le case di Napoleone e Corradino di Cola di Ranaldo. Il quartiere venne saccheggiato e tutti gli occupanti furono scacciati fuori di Foligno, quasi senza spargimento di sangue: "''non vi morì se non uno di bassa e vile condizione''". I ribelli, al grido di "Viva il Popolo!" richiamarono in città Corrado Trinci, che da quando era tornato da Anagni risiedeva a Spoleto, e gli dettero il Gonfalone del Popolo, simbolo di Signoria. Ugolino venne liberato dal castello in cui era detenuto. Corrado assunse subito il potere e ordinò che si rendessero gli onori al fratello trucidato. Vendicò duramente l'uccisione di Trincia facendo giustiziare oltre cento persone; poi percorse spietatamente la terra di Bevagna mettendola a ferro e fuoco. <br> | |||
Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "''Trincia, di santa e ineffabile memoria''".<br> | Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "''Trincia, di santa e ineffabile memoria''".<br> | ||
=== Caterina da Siena === | |||
Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra [[La Famiglia Trinci|la famiglia Trinci]] e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino Ugolino III Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città. | Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra [[La Famiglia Trinci|la famiglia Trinci]] e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino Ugolino III Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città. | ||
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<!-- FINE GENEALOGIA --> | <!-- FINE GENEALOGIA --> | ||
== | == Matrimonio e discendenza == | ||
Da sua moglie Giacoma d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, Trincia ebbe quattro figli. | Trincia Trinci sposò Giacoma (o Jacopa) di Niccolò I d'Este, Signore di Ferrara. | ||
[[File:ArmeEstensi.png|x96px|right]] | |||
[[File:Niccolò1Este.jpg|x96px|left]] | |||
<poem style="border: 1px solid #7B7B7B; background-color: #F5FAFF; padding: 5px;"> | |||
<small>'''Niccolò I d'Este'''. Fu a parte della Signoria di Ferrara co' fratelli. Si trovò nel 1333 alla difesa di quella città contro le armi del Legato Pontificio Bertrando del Poggetto, ma la notte del 6 febbraio, caduto per le tenebre in una fossa col cavallo, rimase prigione de' nemici. Fu cambiato co' prigionieri fatti dal fratello Rinaldo nella vittoria riportata il 14 aprile. Nel 1335 seguì il fratello nell'impresa di Modena, e per la di lui infermità prese il comando dell'esercito onde proseguirla. Nel 1337 comandò le armi Estensi nella guerra contro Mastino Signor di Verona. Morì nel 1344, 1° maggio. Da sua moglie, Beatrice di Guido Gonzaga, Signore di Mantova, ebbe due figli, Rinaldo e Jacopa (Giacoma).</small> | |||
<small>'''Pompeo Litta - Famiglie celebri d'Italia'''</small> | |||
</poem> | |||
Da sua moglie Giacoma (o Jacopa) d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, Trincia ebbe quattro figli. | |||
=== Ugolino === | |||
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| [[File: | | [[File:PagDedicata.png|x30px]] ''<small>Vedi pagina dedicata:</small>'' [[Ugolino III Trinci]] | ||
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=== Onofrio === | |||
Nel 1388 fu Priore di San Salvatore in Foligno; nel 1397 venne eletto dal clero Vescovo di Foligno, e confermato da Bonifacio IX. Morì nel 1403. | Nel 1388 fu Priore di San Salvatore in Foligno; nel 1397 venne eletto dal clero Vescovo di Foligno, e confermato da Bonifacio IX. Morì nel 1403. | ||
=== Contessa === | |||
Sposata con Berto Elmi. | Sposata con Berto Elmi. | ||
=== Marina === | |||
Sposata con Renzo Savelli. | Sposata con Renzo Savelli. | ||
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== Note == | == Note == | ||
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== Bibliografia == | == Bibliografia == | ||
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<poem> | <poem> | ||
<small>Archeo Foligno n° 2 - Marzo-Aprile 2007</small> | |||
<small>Biografie dei Capitani Venturieri dell'Umbria - Ariodante Fabbretti - Montepulciano - 1843 - Tip. Angiolo Fumi</small> | |||
<small>Bollettino della Pro Foligno - Anno 11º numero 2, Febbraio 2011</small> | |||
<small>Compendio della Storia di Fuligno - Giuseppe Bragazzi - Foligno - 1858 - Tipografia Tomassini</small> | |||
<small>Del Palazzo Trinci in Foligno - Don Michele Faloci Pulignani</small> | |||
<small>Di Corrado Trinci, tiranno e mecenate umbro del quattrocento – Medardo Morici – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XI – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1905</small> | |||
<small>Fragmenta Fulginatis Historiae - Don Michele Faloci Pulignani</small> | |||
<small>Frammenti degli Annali di Spoleto dal 1305 al 1424 - Parruccio Zampolini</small> | |||
<small>Gli affreschi del Palazzo Trinci a Foligno - Mario Salmi</small> | <small>Gli affreschi del Palazzo Trinci a Foligno - Mario Salmi</small> | ||
<small>I Gabrielli da Gubbio e i Trinci da Foligno nella storia della Repubblica Fiorentina - G. degli Azzi</small> | |||
<small>I Priori della Cattedrale di Foligno – Don Michele Faloci Pulignani – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XX – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1914</small> | |||
<small>Il Vicariato dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani</small> | <small>Il Vicariato dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani</small> | ||
<small>Istoria della Famiglia Trinci - Durante Dorio - Foligno - 1638 - Agostino Alteri</small> | <small>Istoria della Famiglia Trinci - Durante Dorio - Foligno - 1638 - Agostino Alteri</small> | ||
<small>La Gazzetta di Foligno - 1988/89 - articoli di Federica Ferretti</small> | <small>La Gazzetta di Foligno - 1988/89 - articoli di Federica Ferretti</small> | ||
<small>La cronaca del Trecento italiano - Carlo Ciucciovino </small> | <small>La cronaca del Trecento italiano - Carlo Ciucciovino </small> | ||
<small> | <small>Le arti e le lettere alla Corte dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani</small> | ||
<small>Le concessioni del Cardinale Giovanni Vitelleschi al Comune di Foligno - Don Michele Faloci Pulignani</small> | |||
<small>Novella cinquantesima quinta - Novelle - Matteo Bandello - Firenze - 1832 - Tipografia Borghi e compagni</small> | |||
<small>Prima edizione a stampa della Divina Commedia – Studi II - Piero Lai</small> | |||
<small>Storia del Comune di Spoleto dal Secolo XII al XVII – Achille Sansi – Stabilimento di P. Sgariglia – Foligno - 1879</small> | <small>Storia del Comune di Spoleto dal Secolo XII al XVII – Achille Sansi – Stabilimento di P. Sgariglia – Foligno - 1879</small> | ||
<small>Una contrastata impresa di Giacomo Trinci abate di Sassovivo (1412-1440) - Mario Sensi</small> | |||
<small>Vita del Beato Paolo, detto Paoluccio, de' Trinci da Fuligno - – Lodovico Jacobilli - 1627 – Agostino Alteri – Foligno </small> | |||
<small>Vite de’ Santi e Beati di Foligno – Lodovico Jacobilli – Agostino Alteri – Foligno - 1628</small> | |||
<small>[http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale Wikipedia] per le note e le varie voci.</small> | |||
<small>[http://www.protrevi.com/protrevi/manent.asp Pro Trevi – Famiglia Manenti]</small> | <small>[http://www.protrevi.com/protrevi/manent.asp Pro Trevi – Famiglia Manenti]</small> | ||
<small>[http://www.santiebeati.it/dettaglio/90820 Santi e Beati]</small> | |||
<small>[http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-elmi_%28Dizionario-Biografico%29/ Enciclopedia Treccani Online]</small> | <small>[http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-elmi_%28Dizionario-Biografico%29/ Enciclopedia Treccani Online]</small> | ||
<small>[http://www.wikideep.it/cat/trinci/ WikiDeep]</small> | |||
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Trincia de' Trinci (... – 28 Settembre 1377) fu il quinto Signore di Foligno a partire dal 1353 e fino alla sua morte; era figlio di Ugolino Novello. Ereditò i titoli del padre: Gonfaloniere di Giustizia e Capitano del Popolo; venne poi riconosciuto Vicario Apostolico il 29 novembre 1367. Egli fu anche Vicario Apostolico di Bevagna a partire dal 1371, nonché Generale della Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto dal 30 dicembre 1371. Sposò Giacoma d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, co-Signore di Ferrara. Fu assassinato a Foligno il 28 settembre 1377. Lasciò quattro figli: Ugolino, Onofrio, Contessa e Marina. Sia egli che, soprattutto, sua moglie, furono in rapporti epistolari con la futura Santa Caterina da Siena, intima amica di Bianchina, sorella di Trincia.
Biografia e Note Storiche
Ascesa al potere
Trincia, figlio di Ugolino II Trinci detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse.
Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.
Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di Corrado I Trinci come Podestà di Siena). Questo fatto ebbe ripercussioni molto gravi: da tale famiglia, infatti, nacque il Cardinale Giovanni, che nel 1439 pose fine alla Signoria dei Trinci.
Il Cardinal Legato Egidio Albornoz
Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio.
A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica" nella città e nel territorio di Foligno con il “mero et mixto imperio”, per la durata di dieci anni.
Nel 1366 il comune di Spoleto, temendo l’avvicinarsi della Compagnia della Stella del Baumgarten, inviò ambascerie a Trincia per ottenerne l’aiuto. Albornoz in persona si recò poi a Foligno per cercare di reclutare Giovanni Acuto e utilizzarlo contro Perugia. Egidio Albornoz fornì il suo parere positivo sulla richiesta di Trincia di essere infeudato del castello di Bevagna per un censo annuo di 500 fiorini, mentre il castello non ne rendeva più di 400 alle casse pontificie. Nella seconda parte di questo anno, a conferma dell’importanza di Trincia, il Rettore del ducato di Spoleto, inviò ben otto ambascerie al signore di Foligno. Albornoz, quando risiedeva a Foligno, si sentiva completamente sostenuto da Trincia Trinci, uno di quelli che erano accorsi al suo fianco sin dalla prima ora. Foligno era doppiamente utile, specie nel momento in cui Perugia era addirittura nemica. A complemento degli statuti base della Signoria furono aggiunte le “Costituzioni Egidiane”.
I Trinci Vicari Pontifici
A conferma della fedeltà di Trincia Trinci e della sua importanza strategica in Umbria, il Pontefice Urbano V, anche dopo la morte del protettore di Trincia, Egidio Albornoz, non mancò di manifestargli il suo favore e il 29 novembre 1367 concesse al Trinci il titolo di suo Vicario per Foligno per dieci anni; il censo era di 1.500 fiorini annui, da pagarsi in due rate. Il titolo veniva riconosciuto come ereditario e poteva essere trasmesso, in caso di morte di Trincia, a suo fratello Corrado, associato già al potere, e quindi a suo figlio Ugolino.
Era l'ambito riconoscimento della Signoria Trinci che, e fu questa una prova della riconosciuta scaltrezza della famiglia, si differiva da tutte le altre perché seppe aumentare la propria potenza solo attraverso concessioni pontificie e non mai con atti violenti o in aperto contrasto con la sede Apostolica. Vi fu in ciò anche un aspetto negativo giacché i Trinci non poterono più liberarsi da una così troppo formale soggezione alla Chiesa e quando lo tentarono fu la loro fine. Altri riconoscimenti papali seguirono nel tempo: Urbano V nel 1370 riconobbe al Trincia il diritto di giudicare le cause civili e penali dei cittadini di Foligno e distretto, senza più ingerenze del Rettore del Ducato di Spoleto. Proibì inoltre al Rettore del Ducato di Spoleto di interferire con tale diritto. La deliberazione venne presa per discordie e scandali, a noi ignoti, che tale inframettenza aveva provocato in passato. La curia del Ducato conservava la sua autorità nelle cause d’appello.
Nel 1371, confermando la fiducia del suo predecessore nella lealtà e capacità di Trincia dei Trinci, Signore di Foligno, Gregorio XI, il 7 giugno, prorogò per altri sei anni la durata del vicariato apostolico, portandola a un totale di sedici anni; qualche giorno prima aveva assolto Trincia e i suoi consanguinei Ugolino Novello, padre di Trincia, il vescovo Paolo e Corrado di Nallo, zii di Trincia, l’avo Nallo e Ugolino, nonché suo fratello Corrado, da qualsiasi illegalità da essi operata e ciò in riconoscimento dell’inossidabile lealtà di questa dinastia alla causa della Chiesa. Quando Trincia usò la forza, nel 1371, per occupare Bevagna, Gregorio XI accettò lo stato di fatto nominandolo Vicario apostolico anche per Bevagna e, il 30 dicembre, lo creò generale di Santa Chiesa e Gonfaloniere generale del Ducato di Spoleto. Constata Giovanni Lazzaroni: "Il dominio dei Trinci giungeva così al massimo della potenza". Trincia si era comportato con estrema prudenza nel corso della guerra tra Chiesa e Perugia, egli aveva ospitato nella sua città e nel suo palazzo i legati pontifici, ma si era astenuto dal combattere la forte Perugia. La lealtà dei Trinci alla causa guelfa venne testimoniata l’anno successivo, il 21 giugno, quando Firenze concesse la sua cittadinanza a Trincia e Corrado.
Nel 1371 il Cardinal Pietro Bituricense dette il possesso di Bevagna a Trincia Trinci, Signore di Foligno. A questi consegnò personalmente il bastone del comando, col quale lo investiva del governo di Foligno e Bevagna, in nome della Chiesa.
1374. Il prestigio del Signore di Foligno, Trincia Trinci, era in costante aumento. La sua politica di totale fedeltà alla Chiesa stava ripagando la sua dinastia: il Legato Pietro d’Estaing gli aveva dato il possesso di Bevagna nominandolo Generale di Santa Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto. Il 19 dicembre 1374, quando Trincia ebbe delle difficoltà a pagare il censo alla Chiesa, il papa gli dimostrò la sua benigna disposizione d’animo prorogandogli, senza problemi, il pagamento.
La guerra degli Otto Santi
La "Guerra degli Otto Santi" fu un conflitto che oppose la Santa Sede e Firenze collegata ad altre città nel 1375-78. Prende nome dalla denominazione che i cittadini di Firenze, in seguito all’interdetto lanciato contro la città da Gregorio XI nel 1376, diedero alla Magistratura degli Otto della Guerra, istituita dal Comune per dirigere la lotta. Dinnanzi al tentativo di restaurazione di un forte Stato della Chiesa in vista del ritorno della Santa Sede da Avignone a Roma, i Fiorentini si rivoltarono, alleandosi con Bernabò Visconti e le città suddite della Chiesa (eccetto Ascoli e Foligno). La guerra, in cui le bande mercenarie pontificie commisero ogni sorta di violenze, si esaurì dopo il ritorno del papa a Roma (1377) e cessò (1378) per le difficoltà sorte da ambo le parti; Urbano VI, sul quale pesava la minaccia di secessione dei cardinali francesi, tolse l’interdetto a Firenze in cambio dell’impegno di quest’ultima a versare 350 mila fiorini.
Nell’archivio di Stato di Firenze sono conservate alcune lettere, datate 1375, che i Dieci di Balia inviarono al signore di Foligno per convincerlo ad unirsi ai “collegati della libertà”. I Dieci lo esortavano a entrare a far parte della Lega. Non disponiamo della risposta di Trincia, che supponiamo articolata evasivamente, però troviamo il signore di Foligno ancora leale nei confronti della Chiesa, malgrado i Fiorentini insistano e minaccino.
Nel 1376, mentre la ribellione alla Chiesa dilagava quasi ovunque nell’Italia Centrale, in Foligno i fratelli Trinci, Trincia e Corrado, resistevano imperterriti alle lusinghe e alle minacce che rivolgeva loro Firenze. Questa, capofila della ribellione, indirizzava lettere piene di lusinghe e nelle quali tratteggiava i vantaggi dell’adesione alla generale Lega contro la Chiesa; poi, di fronte al rifiuto continuato di Trincia Trinci, il tono trascorse verso il sorpreso e quasi scandalizzato per la “rovinosa ostinazione” del Signore di Foligno. Infine lo ammonivano: "rischi di rimanere isolato in Italia ed esposto a sicura rovina". Trincia mantennne la sua lealtà verso la Chiesa, questa era stata la politica del suo lignaggio nei decenni passati e questa lealtà aveva fruttato il favore dei papi; non vedeva nessun motivo per cambiare tale politica. Oltre a Foligno, Trincia Trinci era anche Conservatore e Governatore di Montefalco. Firenze, vistasi incapace di persuadere Trincia, pregò Galeotto Manfredi di esercitare pressioni sul signore di Foligno. Il Papa compensò tanta rara lealtà condonandogli il censo per Foligno e Bevagna e lodandolo.
Nel 1377, Corrado Trinci, fratello del Signore di Foligno, avuto sentore di un trattato per dare Bevagna alla Lega, vi si recò con "un buon numero di cavalli e di fanti"; la corse al nome dei Trinci, affrontò i traditori che avevano preso le armi e, dopo una dura battaglia, rimase vittorioso. Rastrellò la città alla caccia di tutti i partigiani della Lega, assassinandone molti, e infine concesse alle sue truppe di saccheggiare la sventurata Bevagna. Tale e tanta fu la rovina che la città, per un poco, rimane deserta.
Nel frattempo erano giunti a Foligno trecento cavalieri Bretoni, al soldo del Papa, presenza scomoda anche per gli alleati, tanto che messer Trinci, non fidandosi di loro, li inviò a soggiornare nella devastata Bevagna. Il 29 giugno il Cardinale Pietro d’Estaing lasciò Todi, trasferendosi a Montefalco. Riteneva questa località più adatta a portare attacchi contro Perugia, per la vicinanza con Foligno e quindi con le truppe del Trinci. Le sue pattuglie non incontrarono soldati perugini e poterono arrivare indisturbate fino a Ponte San Giovanni, predando e deportando gli abitanti del contado. Fu poco più di un’azione dimostrativa, ma cadde nel periodo in cui le messi erano quasi mature, e quindi le devastazioni furono molto più dolorose. I Perugini, intimoriti, provvidero ancor più diligentemente alla difesa. Firenze inviò un capitano con cento lance, e poi altre centocinquanta, comandate da un fratello del conte Lucio Lando. Perugia poteva contare su cinquecentocinquanta lance per proteggere il territorio; non solo: i Perugini poterono anche permettersi di uscire in campo aperto e scacciare il nemico fuori dei confini. Visto l’orizzonte sgombro di nemici, i Perugini corsero il Folignate, assaltarono Serra del Visconte, un castello della Val Topina, risalirono la valle, conquistarono Rodione e Gualdo Tadino. Coldimancio si dette a Perugia, e i soldati scacciarono da Bevagna il presidio Bretone. Da bravi vicini, tra Spoleto e Foligno non correva buon sangue, per contese di confine, ma vi era da pensare a mietere il raccolto, e le parti conclusero un accordo secondo il quale ogni città potesse dedicarsi a questa attività senza temere incursioni dall’altra. Ma i Folignati non tennero fede alla propria parola, uscirono "con gran impeto dalla città", assalirono i mietitori, uccidendone alcuni e catturandone duecento. Spello era sotto la protezione di Perugia, che immediatamente inviò il Tedesco messer Pietro dalla Corona, a punire i traditori. Il ben provveduto cavaliere inviò alcuni dei suoi ad assaltare una torre tenuta da una guarnigione di Foligno. I Folignati, convinti di poter facilmente legnare l’esiguo contingente perugino, uscirono dalle sicure mura della città, ma messer Pietro era soldato esperto: aveva disposto il grosso dei suoi militi in luogo nascosto, e quindi in buon ordine assalì i Folignati da tutte le parti, sgominandoli.
La profezia di Fra' Tommasuccio
Viveva in Umbria un frate, originario di Foligno, che godeva di una solida reputazione, quella di essere in grado di profetizzare gli eventi. Alcuni dei suoi successi sono raccontati dal Pellini, che li trasse dalla "Historie Fiorentine del Beato Antonino". Fra’ Tomassuccio ebbe il torto di biasimare pubblicamente le scellerataggini di Trincia dei Trinci, signore di Foligno. Questi, che era un uomo risoluto, decise di punirlo esemplarmente e ferocemente, facendolo ardere vivo. Convocò quindi a sé il frate, che conosciuto in spirito ciò che il tiranno gli riservava, andò a un forno vicino e chiese alla fornaia di mettergli nella camicia che egli aveva apprestato a conca, tra le mani, alcuni carboni ardenti, e dei più grossi e vivi perché doveva percorrere una qualche distanza. Li ottenne e con le braci ben rivolte nella camicia, si presentò di fronte al crudo signore, svolse il tessuto e ne trasse carboni ancora ardenti dalla camicia illesa, gettandoli ai piedi del Trinci, ed esclamando: "Se tu mi vuoi abbruciare, eccoti il fuoco". Trincia, stupefatto, desiste dal suo proposito e, da quel momento, dimostrò di avere la più alta considerazione per il religioso. Cercò quindi di penetrare attraverso l’indovino il proprio futuro e gli chiese quanto sarebbe vissuto. Fra’ Tomassuccio rispose: "Tu viverai appunto tanto quanto durerà illesa la campana della comunità di Folign". La tragica profezia si avverò il 28 settembre del 1377, quando Corradino e Napoleone Brancaleone, insieme a molti nobili folignati fuorusciti, approfittando del passaggio d’alcune genti fiorentine nel territorio, e precisamente del conte Lucio di Landau, decisero di attentare alla vita del Signore di Foligno. Il momento per l’azione venne stabilito essere quando la campana del comune avesse suonato alcuni rintocchi, allora i congiurati si sarebbero reciitati dal tiranno e lo avrebbero gettato dalla finestra. Mentre Trincia veniva defenestrato dal suo palazzo, suonarono i rintocchi della campana, che si fessurò.
Fra’ Tomassuccio era un terziario francescano "di grande astinentia, dispregiatore singularissimo delle cose del mondo". Dopo la sua morte venne sepolto nella chiesa di Sant’Agostino e le sue spoglie, operando miracoli, gli ottennero la beatificazione.
L'assassinio di Trincia
Il 28 settembre, Napoleone e Corradino Brancaleoni, esponenti di una famiglia tradizionalmente avversa ai Trinci, compirono un colpo di stato in Foligno. Approfittando della presenza della compagnia del conte Lucio di Landau nella zona e dell’assenza dei congiunti di Trincia Trinci, Corradino, un bastardo della famiglia Brancaleoni, sollevò la popolazione di Foligno e la condusse contro il palazzo Trinci. La resistenza venne facilmente vinta, gli armati sciamarono fino alla sala del Signore e il bastardo lo gettò dalla finestra del palazzo. Il cadavere, crivellato di ferite, giacque per più giorni sul selciato della piazza, senza che nessuno ardisse rimuoverlo. Messer Trincia aveva tragicamente concluso la signoria della sua famiglia che era durata, il Pellini puntigliosamente precisa, 72 anni, 3 mesi e 8 giorni. Ugolino, il figlio di Trincia, era in un castello del territorio, e qui venne imprigionato; Corrado, fratello di Trincia, era ad Anagni presso il Pontefice, e qui venne raggiunto dalla tragica novità. I Perugini decisero subito di tentar di sfruttare la favorevole occasione, incaricarono oratori di recarsi da Napoleone e Corradino che si erano insignoriti di Foligno, offrendo tutti gli aiuti militari necessari al nuovo regime per rintuzzare la prevedibile reazione dell’esercito della Chiesa. Napoleone e Corradino chiarirono che non volevano entrare nella Lega, ma offrirono una tregua d’armi di un anno. Il 20 ottobre la tregua venne conclusa.
Il 6 dicembre i partigiani della famiglia Trinci sollevarono la popolazione e la condussero contro le case di Napoleone e Corradino di Cola di Ranaldo. Il quartiere venne saccheggiato e tutti gli occupanti furono scacciati fuori di Foligno, quasi senza spargimento di sangue: "non vi morì se non uno di bassa e vile condizione". I ribelli, al grido di "Viva il Popolo!" richiamarono in città Corrado Trinci, che da quando era tornato da Anagni risiedeva a Spoleto, e gli dettero il Gonfalone del Popolo, simbolo di Signoria. Ugolino venne liberato dal castello in cui era detenuto. Corrado assunse subito il potere e ordinò che si rendessero gli onori al fratello trucidato. Vendicò duramente l'uccisione di Trincia facendo giustiziare oltre cento persone; poi percorse spietatamente la terra di Bevagna mettendola a ferro e fuoco.
Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "Trincia, di santa e ineffabile memoria".
Caterina da Siena
Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra la famiglia Trinci e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino Ugolino III Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città.
Genealogia
Genealogia di Trincia di Ugolino II de' Trinci, V° Signore di Foligno |
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Matrimonio e discendenza
Trincia Trinci sposò Giacoma (o Jacopa) di Niccolò I d'Este, Signore di Ferrara.
Niccolò I d'Este. Fu a parte della Signoria di Ferrara co' fratelli. Si trovò nel 1333 alla difesa di quella città contro le armi del Legato Pontificio Bertrando del Poggetto, ma la notte del 6 febbraio, caduto per le tenebre in una fossa col cavallo, rimase prigione de' nemici. Fu cambiato co' prigionieri fatti dal fratello Rinaldo nella vittoria riportata il 14 aprile. Nel 1335 seguì il fratello nell'impresa di Modena, e per la di lui infermità prese il comando dell'esercito onde proseguirla. Nel 1337 comandò le armi Estensi nella guerra contro Mastino Signor di Verona. Morì nel 1344, 1° maggio. Da sua moglie, Beatrice di Guido Gonzaga, Signore di Mantova, ebbe due figli, Rinaldo e Jacopa (Giacoma).
Pompeo Litta - Famiglie celebri d'Italia
Da sua moglie Giacoma (o Jacopa) d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, Trincia ebbe quattro figli.
Ugolino
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Onofrio
Nel 1388 fu Priore di San Salvatore in Foligno; nel 1397 venne eletto dal clero Vescovo di Foligno, e confermato da Bonifacio IX. Morì nel 1403.
Contessa
Sposata con Berto Elmi.
Marina
Sposata con Renzo Savelli.
N.B.: Le immagini a corredo di queste pagine hanno uno scopo puramente illustrativo. Non sono in alcun modo collegate con l'iconografia, reale o presunta, dei fatti e dei personaggi a cui sono accostate.
Note
Bibliografia
Archeo Foligno n° 2 - Marzo-Aprile 2007
Biografie dei Capitani Venturieri dell'Umbria - Ariodante Fabbretti - Montepulciano - 1843 - Tip. Angiolo Fumi
Bollettino della Pro Foligno - Anno 11º numero 2, Febbraio 2011
Compendio della Storia di Fuligno - Giuseppe Bragazzi - Foligno - 1858 - Tipografia Tomassini
Del Palazzo Trinci in Foligno - Don Michele Faloci Pulignani
Di Corrado Trinci, tiranno e mecenate umbro del quattrocento – Medardo Morici – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XI – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1905
Fragmenta Fulginatis Historiae - Don Michele Faloci Pulignani
Frammenti degli Annali di Spoleto dal 1305 al 1424 - Parruccio Zampolini
Gli affreschi del Palazzo Trinci a Foligno - Mario Salmi
I Gabrielli da Gubbio e i Trinci da Foligno nella storia della Repubblica Fiorentina - G. degli Azzi
I Priori della Cattedrale di Foligno – Don Michele Faloci Pulignani – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XX – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1914
Il Vicariato dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani
Istoria della Famiglia Trinci - Durante Dorio - Foligno - 1638 - Agostino Alteri
La Gazzetta di Foligno - 1988/89 - articoli di Federica Ferretti
La cronaca del Trecento italiano - Carlo Ciucciovino
Le arti e le lettere alla Corte dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani
Le concessioni del Cardinale Giovanni Vitelleschi al Comune di Foligno - Don Michele Faloci Pulignani
Novella cinquantesima quinta - Novelle - Matteo Bandello - Firenze - 1832 - Tipografia Borghi e compagni
Prima edizione a stampa della Divina Commedia – Studi II - Piero Lai
Storia del Comune di Spoleto dal Secolo XII al XVII – Achille Sansi – Stabilimento di P. Sgariglia – Foligno - 1879
Una contrastata impresa di Giacomo Trinci abate di Sassovivo (1412-1440) - Mario Sensi
Vita del Beato Paolo, detto Paoluccio, de' Trinci da Fuligno - – Lodovico Jacobilli - 1627 – Agostino Alteri – Foligno
Vite de’ Santi e Beati di Foligno – Lodovico Jacobilli – Agostino Alteri – Foligno - 1628
Wikipedia per le note e le varie voci.
Pro Trevi – Famiglia Manenti
Santi e Beati
Enciclopedia Treccani Online
WikiDeep
http://www.beatangelinadimarsciano.it/Paoluccio.htm
https://www.santosepolcrofolignoonlus.it/
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