Trincia Trinci: differenze tra le versioni

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Trincia, figlio di [[Ugolino II Trinci]] detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “''sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali''”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse.
Trincia, figlio di [[Ugolino II Trinci]] detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “''sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali''”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse.
Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.<br>
Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.<br>
Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di [[Corrado I]] Trinci come Podestà di Siena). Questo fatto ebbe ripercussioni molto gravi: da tale famiglia, infatti, nacque il Cardinale Giovanni, che nel 1439 pose fine alla Signoria dei Trinci.<br>
Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di [[Corrado I Trinci]] come Podestà di Siena). Questo fatto ebbe ripercussioni molto gravi: da tale famiglia, infatti, nacque il Cardinale Giovanni, che nel 1439 pose fine alla Signoria dei Trinci.<br>
Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio. <br>
Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio. <br>
A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "''Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica''" nella città e nel territorio di Foligno con il “''mero et mixto imperio''”, per la durata di dieci anni. Il pontefice Urbano V il 29 Novembre 1367 riconfermò tale concessione, per ulteriori dieci anni, col tributo di 1500 fiorini d'oro. Era l'ambito riconoscimento della Signoria Trinci che, e fu questa una prova della riconosciuta scaltrezza della famiglia, si differiva da tutte le altre perché seppe aumentare la propria potenza solo attraverso concessioni pontificie e non mai con atti violenti o in aperto contrasto con la sede Apostolica. Vi fu in ciò anche un aspetto negativo giacché i Trinci non poterono più liberarsi da una così troppo formale soggezione alla Chiesa e quando lo tentarono fu la loro fine. Alle concessioni l'Albornoz aggiunse poi il feudo di Bevagna, ambito e prezioso per i Trinci e a complemento degli statuti base della Signoria furono aggiunte le “''Costituzioni Egidiane''”. I riconoscimenti papali seguirono nel tempo: Urbano V nel 1370 riconobbe al Trincia il diritto di giudicare le cause civili e penali dei cittadini di Foligno e distretto, senza più ingerenze del Rettore del Ducato di Spoleto. Nel 1371 venne eletto Generale della Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto.<br>
A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "''Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica''" nella città e nel territorio di Foligno con il “''mero et mixto imperio''”, per la durata di dieci anni. Il pontefice Urbano V il 29 Novembre 1367 riconfermò tale concessione, per ulteriori dieci anni, col tributo di 1500 fiorini d'oro. Era l'ambito riconoscimento della Signoria Trinci che, e fu questa una prova della riconosciuta scaltrezza della famiglia, si differiva da tutte le altre perché seppe aumentare la propria potenza solo attraverso concessioni pontificie e non mai con atti violenti o in aperto contrasto con la sede Apostolica. Vi fu in ciò anche un aspetto negativo giacché i Trinci non poterono più liberarsi da una così troppo formale soggezione alla Chiesa e quando lo tentarono fu la loro fine. Alle concessioni l'Albornoz aggiunse poi il feudo di Bevagna, ambito e prezioso per i Trinci e a complemento degli statuti base della Signoria furono aggiunte le “''Costituzioni Egidiane''”. I riconoscimenti papali seguirono nel tempo: Urbano V nel 1370 riconobbe al Trincia il diritto di giudicare le cause civili e penali dei cittadini di Foligno e distretto, senza più ingerenze del Rettore del Ducato di Spoleto. Nel 1371 venne eletto Generale della Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto.<br>
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Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "''Trincia, di santa e ineffabile memoria''".<br>
Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "''Trincia, di santa e ineffabile memoria''".<br>


Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra [[La Famiglia Trinci|la famiglia Trinci]] e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino [[Ugolino III]] Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città.
Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra [[La Famiglia Trinci|la famiglia Trinci]] e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino Ugolino III Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città.
 
[[Categoria:I Trinci]]


== Genealogia ==
== Genealogia ==

Versione delle 09:40, 19 ott 2021

Trincia de' Trinci (... – 28 Settembre 1377) fu il quinto Signore di Foligno a partire dal 1353 e fino alla sua morte; era figlio di Ugolino Novello. Ereditò i titoli del padre: Gonfaloniere di Giustizia e Capitano del Popolo; venne poi riconosciuto Vicario Apostolico il 29 novembre 1367. Egli fu anche Vicario Apostolico di Bevagna a partire dal 1371, nonché Generale della Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto dal 30 dicembre 1371. Sposò Giacoma d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, co-Signore di Ferrara. Fu assassinato a Foligno il 28 settembre 1377. Lasciò quattro figli: Ugolino, Onofrio, Contessa e Marina. Sia egli che, soprattutto, sua moglie, furono in rapporti epistolari con la futura Santa Caterina da Siena, intima amica di Bianchina, sorella di Trincia.

Stato
Titoli
Capitano del Popolo Gonfaloniere di Giustizia
Vicario Apostolico
Predecessore Successore
Ugolino II de' Trinci Corrado II de' Trinci
Inizio Signoria Fine Signoria
1353 28 settembre 1377
Ascendenza
Ugolino II de' Trinci Vittoria di Petruccio da Montemarte
Consorte
Giacoma di Niccolò d'Este
Discendenza
Ugolino Onofrio
Contessa Marina

Biografia e Note Storiche

Trincia, figlio di Ugolino II Trinci detto Novello, successe al padre alla sua morte, nel 1353, anche se dobbiamo ricordare che alcune fonti riportano come data della morte il 1349. In conseguenza del Capitolo aggiunto agli Statuti Comunali dal padre, nel 1346, Trincia aveva dei privilegi, formalmente riconosciuti, dei quali nemmeno i suoi predecessori avevano usufruito. Trincia e i suoi avevano il permesso di portare armi d’offesa e difesa, egli poteva avere una guardia del corpo costituita da 10 famigli armati, “sufficienti e buoni e adatti a portare le armi; dei quali dieci famigli, quattro siano valletti e si comportino come tali”. Il comune mise poi a disposizione dieci uomini a cavallo al servizio di Trincia e stanziò una somma annua, per tutta la sua vita, di 2.000 lire di denari perugini (equivalenti a circa 500 fiorini d’oro) per mantenere sé stesso e gli armati che gli erano concessi e affidati. Se Trincia doveva andare in missione per il Comune, gli veniva corrisposta una diaria giornaliera di 40 soldi di denari al giorno e 20 per ogni cavallo che lo accompagnasse. A Trincia competeva il titolo di Gonfaloniere di Giustizia del Popolo Folignate e Capitano di parte Guelfa. Anche gli altri membri della casata potevano girare armati ed essere accompagnati da un numero minore di famigli armati, otto al massimo. Interessante è la definizione di famiglio come quello che abiti e dimori continuamente nelle case dei Trinci e riceva da loro vitto e vestiti. A Trincia era concesso di nominare un vicario e farsi sostituire quando volesse. Nel 1353 Trincia e suo fratello Rinaldo, Vescovo di Foligno, che insieme reggevano la città, accolsero benevolmente le bande di Fra' Moriale d’Albarno, Cavaliere Gerosolimitano che, dopo la riconquista del Regno di Napoli, si trovò senza occupazione e si fece Capitano di ventura, costituendo un esercito con i mercenari tedeschi e francesi rimasti in Italia, saccheggiando molte terre al suo passaggio o pretendendo un’ingente ricompensa per non abbandonarsi alla rapina. Fra' Moriale non solo non arrecò danni al territorio, ma tentò pure di occupare Spello per farne dono ai Trinci, desistendo poi dal suo proposito solo perché trovò il paese presidiato da truppe perugine.
Nel 1355 Trincia cacciò dalla città, per aver congiurato contro di lui - almeno questo ne fu il movente dichiarato - Pucciarello di Giacomuccio Vitelleschi e tutta la sua famiglia (lo stesso Pucciarello che fu Vicario di Corrado I Trinci come Podestà di Siena). Questo fatto ebbe ripercussioni molto gravi: da tale famiglia, infatti, nacque il Cardinale Giovanni, che nel 1439 pose fine alla Signoria dei Trinci.
Intanto giungeva in Italia, quale Cardinale Legato e Vicario Generale, Egidio D'Albornoz, inviato da Innocenzo VI con il preciso incarico di riportare nella Chiesa i Comuni che si erano ribellati e i territori già di pertinenza della Sede Apostolica, dove erano sorte Signorie non riconosciute dalla Chiesa stessa. Nell'incertezza delle vere intenzioni dell'Albornoz, il Trinci si mantenne su una posizione di attesa e forse non mancarono segreti contatti con altri signorotti, ma non appena l'Albornoz ebbe assoggettato il “patrimonio” e si presentò in Umbria, e avendo il Trinci notato come fosse più propenso al compromesso che alla guerra, riconobbe subito l'autorità del Legato e conseguentemente quella del Pontefice. L'Albornoz, soddisfatto di questa sottomissione, anche se del tutto formale, non solo l‘accettò pienamente, ma soggiornò a lungo a Foligno che scelse come quartier generale per le operazioni da svolgere per la conquista delle Marche e principalmente delle città signoreggiate dal Malatesta e dall'Ordefatti; in Foligno fece costruire una rocca detta Cassero. Trincia lo aiutò validamente nelle varie operazioni di guerra e riconquista, tanto da essere nominato Capitano delle truppe; il suo appoggio si rese indispensabile per mantenere in pace l'Umbria che avrebbe potuto pericolosamente pregiudicare tale operazione, attaccando alle spalle l'esercito pontificio.
A ricompensa dei servizi prestati, nel 1356 il Cardinale Albornoz nominò Trincia "Vicario Generale in Temporibus per la Sede Apostolica" nella città e nel territorio di Foligno con il “mero et mixto imperio”, per la durata di dieci anni. Il pontefice Urbano V il 29 Novembre 1367 riconfermò tale concessione, per ulteriori dieci anni, col tributo di 1500 fiorini d'oro. Era l'ambito riconoscimento della Signoria Trinci che, e fu questa una prova della riconosciuta scaltrezza della famiglia, si differiva da tutte le altre perché seppe aumentare la propria potenza solo attraverso concessioni pontificie e non mai con atti violenti o in aperto contrasto con la sede Apostolica. Vi fu in ciò anche un aspetto negativo giacché i Trinci non poterono più liberarsi da una così troppo formale soggezione alla Chiesa e quando lo tentarono fu la loro fine. Alle concessioni l'Albornoz aggiunse poi il feudo di Bevagna, ambito e prezioso per i Trinci e a complemento degli statuti base della Signoria furono aggiunte le “Costituzioni Egidiane”. I riconoscimenti papali seguirono nel tempo: Urbano V nel 1370 riconobbe al Trincia il diritto di giudicare le cause civili e penali dei cittadini di Foligno e distretto, senza più ingerenze del Rettore del Ducato di Spoleto. Nel 1371 venne eletto Generale della Chiesa e Gonfaloniere del Ducato di Spoleto.
Durante la guerra degli “Otto Santi”[1] (1375-1388) il Trincia si mantenne neutrale e seppe temporeggiare e destreggiarsi malgrado la situazione completamente negativa per la Chiesa che si venne a trovare in estremo pericolo; solo quando non era più in pericolo e stava ottenendo successi, si schierò con essa. Era naturale che nella confusione provocata sia dalla guerra degli “Otto Santi” sia dal Grande Scisma non mancassero in Foligno e nel contado avversari dei Trinci, sostenitori della Lega Ghibellina; fra costoro si distinsero Corradino e Napoleone Brancaleoni, discendenti della stirpe di Liutprando ma, come gli Anastasi, rimasti sempre fedeli alla parte ghibellina.
I due fratelli, unendosi al condottiero di ventura, conte Lucio Lando, sollevarono i Folignati contro i Trinci e, con i fuoriusciti, riuscirono a entrare in Foligno e quindi a espugnare il Palazzo Trinci, dove sorpresero Trincia che uccisero, gettandone îl cadavere dalla finestra sul sottostante selciato della Piazza Grande (28 Settembre 1377). Venne formato un governo provvisorio con a capo i due Brancaleoni, ma nel dicembre del 1377 il popolo si sollevò nuovamente, saccheggio la casa dei Brancaleoni, scacciandoli dalla città e richiamando Corrado che, alla notizia della morte del fratello, da Anagni dove si trovava presso Gregorio XI, era ritornato a Spoleto. Assunse subito il potere e il titolo di Gonfaloniere di Giustizia e Capitano di parte Guelfa ed ordinò che si rendessero gli onori al fratello trucidato. Corrado vendicò duramente l'uccisione di Trincia facendo giustiziare oltre cento persone; poi percorse spietatamente la terra di Bevagna mettendola a ferro e fuoco.
Per convincere il popolo che Trincia, essendo stato ucciso al servizio della Chiesa, era salito a godere la gloria celeste, nei documenti in cui veniva nominato si apponevano le parole "Trincia, di santa e ineffabile memoria".

Durante la Signoria di Trincia Trinci è da ricordare la relazione assai affettuosa corsa tra la famiglia Trinci e l'illustre senese Caterina Benincasa, la futura Santa Caterina da Siena. La Santa si adoperava perché l'Italia si riducesse sotto l’ubbidienza di Urbano VI, al tempo del famoso Scisma d'Occidente, e scriveva lettere ai Principi esortandoli all'unione e all'ubbidienza e minacciando, in nome di Dio, castighi e punizioni. Fra le lettere ne scrisse una a Trincia Trinci e a Corrado suo fratello, nel 1376 (o sui primi dell'anno seguente). Poiché sembrava che tanto Trincia che Corrado menassero una vita né molto corretta, né tanto “utile” per i sudditi, la Santa insisteva con considerazioni morali esortandoli all'amore di Dio e alla castigatezza dei costumi. È una lettera che dimostra grande e intima amicizia familiare. Si sa che Santa Caterina ebbe un’intima amicizia anche con Bianchina, sorella di Corrado e di Trincia. Bianchina era la moglie di Giovanni Bottone di Agnolino Salimbeni, nobilissima famiglia senese - marito che, peraltro, le venne a mancare nel 1367 per un tragico incidente, mentre se ne tornava da Siena a Rocca Salimbeni - e la madre di un altro rilevante attore della storia, Angelo Salimbeni, Podestà in varie città d’Italia, tra cui la nostra Foligno, incarico datogli dal cugino Ugolino III Trinci, allora settimo Signore di Foligno. Le due donne ebbero un notevole scambio di lettere a carattere religioso e c’è chi sostiene la teoria che fu proprio Bianchina ad introdurre l’illetterata Caterina alla scrittura. L’epistola più drammatica che santa Caterina inviò alla famiglia, era indirizzata a Giacoma d’Este, moglie di Trincia e madre di Ugolino, e riguarda proprio il tragico episodio dell’uccisione del Signore folignate. Caterina volle consolare Giacoma, consorte distrutta dal dolore, e mise in rilievo come il potente Signore sia morto in qualità di difensore della Santa madre Chiesa, essendosi più volte rifiutato di aderire alla lega antipapale promossa da Firenze e da Perugia. Tesi che darà agio al poeta Federico Frezzi di innalzare Trincia nel cielo della Fortezza, tra gli eroi cristiani. Inoltre, esortandola alla pazienza, le promise giorni più lieti con una profezia di ritorno della famiglia Trinci al potere e alla guida della città.

Genealogia

Genealogia di Trincia di Ugolino II de' Trinci, V° Signore di Foligno


Discendenza

Da sua moglie Giacoma d'Este, figlia del marchese Nicolò I d'Este, Trincia ebbe quattro figli.

Ugolino

Vedi pagina dedicata: Ugolino III Trinci

Onofrio

Nel 1388 fu Priore di San Salvatore in Foligno; nel 1397 venne eletto dal clero Vescovo di Foligno, e confermato da Bonifacio IX. Morì nel 1403.

Contessa

Sposata con Berto Elmi.

Marina

Sposata con Renzo Savelli.


N.B.: Le immagini a corredo di queste pagine hanno uno scopo puramente illustrativo. Non sono in alcun modo collegate con l'iconografia, reale o presunta, dei fatti e dei personaggi a cui sono accostate.


Note

  1. La Guerra degli Otto Santi fu un conflitto che oppose la Santa Sede e Firenze collegata ad altre città nel 1375-78. Prende nome dalla denominazione che i cittadini di Firenze, in seguito all’interdetto lanciato contro la città da Gregorio XI nel 1376, diedero alla Magistratura degli Otto della Guerra, istituita dal Comune per dirigere la lotta. Dinnanzi al tentativo di restaurazione di un forte Stato della Chiesa in vista del ritorno della Santa Sede da Avignone a Roma, i Fiorentini si rivoltarono, alleandosi con Bernabò Visconti e le città suddite della Chiesa (eccetto Ascoli e Foligno). La guerra, in cui le bande mercenarie pontificie commisero ogni sorta di violenze, si esaurì dopo il ritorno del papa a Roma (1377) e cessò (1378) per le difficoltà sorte da ambo le parti; Urbano VI, sul quale pesava la minaccia di secessione dei cardinali francesi, tolse l’interdetto a Firenze in cambio dell’impegno di quest’ultima a versare 350 mila fiorini.

Bibliografia

Gli affreschi del Palazzo Trinci a Foligno - Mario Salmi
Il Vicariato dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani
Le arti e le lettere alla Corte dei Trinci - Don Michele Faloci Pulignani
Prima edizione a stampa della Divina Commedia – Studi II - Piero Lai
Istoria della Famiglia Trinci - Durante Dorio - Foligno - 1638 - Agostino Alteri
Compendio della Storia di Fuligno - Giuseppe Bragazzi - Foligno - 1858 - Tipografia Tomassini
La Gazzetta di Foligno - 1988/89 - articoli di Federica Ferretti
La cronaca del Trecento italiano - Carlo Ciucciovino
Di Corrado Trinci, tiranno ecc. – Medardo Morici – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XI – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1905
Storia del Comune di Spoleto dal Secolo XII al XVII – Achille Sansi – Stabilimento di P. Sgariglia – Foligno - 1879
Pro Trevi – Famiglia Manenti
[http://www.wikideep.it/cat/trinci/ WikiDeep]
Enciclopedia Treccani Online
I Priori della Cattedrale di Foligno – Don Michele Faloci Pulignani – Bollettino della Regia deputazione di Storia Patria per l’Umbria – Volume XX – Unione Tipografica Cooperativa – Perugia - 1914
Santi e Beati
Vite de’ Santi e Beati di Foligno – Lodovico Jacobilli – Agostino Alteri – Foligno - 1628
Bollettino della Pro Foligno - Anno 11º numero 2, Febbraio 2011
Wikipedia per le note e le varie voci.

Voci Correlate